Ci illudiamo di essere al vertice ma siamo in caduta libera
L’Occidente vive in un torpore autoreferenziale che lo sta portando verso un brusco risveglio, un risveglio che sarà peggiore dell’incubo che stiamo ancora vivendo. Da decenni, ci comportiamo come se fossimo il centro del mondo, il riferimento insindacabile per ogni aspetto della vita: l’economia, la tecnologia, la cultura, la governance. Abbiamo costruito miti sulla nostra superiorità, convinti che le nostre invenzioni, le nostre università e i nostri modelli siano insuperabili. Ma fuori dal nostro mondo ristretto di 1,6 miliardi di persone, c’è un’umanità di oltre 6 miliardi che sta crescendo, evolvendo e guidando il cambiamento.
Il sud del mondo – quelle nazioni e quelle culture che l’Occidente ha storicamente guardato dall’alto in basso – si sta affermando con una forza e una velocità che non riusciamo nemmeno a comprendere. Non solo non vediamo questi cambiamenti, ma siamo così assorti nei nostri nazionalismi, corporativismi e suprematismi da non capire che il mondo sta andando avanti senza di noi.
L’automotive: la punta dell’iceberg
Il settore dell’automotive è l’esempio più evidente della crisi di centralità dell’Occidente. I marchi storici – costruiti su decenni di branding e miti – non riescono più a competere con l’agilità e la capacità di esecuzione delle industrie emergenti. Cina, India, Sud-est asiatico e altre regioni del sud del mondo stanno dominando l’innovazione tecnologica, non solo con i veicoli elettrici, ma anche con nuovi modelli di produzione, distribuzione e consumo.
La situazione non è diversa nel settore dell’energia. Mentre l’Occidente si avvita in discussioni infinite su transizioni energetiche e modelli sostenibili, il resto del mondo sta già costruendo il futuro. Entro 10-15 anni, l’energia green sarà dominante nelle economie emergenti, lasciandoci con il compito di rincorrere una “lepre” che ci supera in agilità, velocità ed esecuzione.
La crisi dei miti occidentali
Il declino dell’Occidente non è solo economico o tecnologico, ma culturale. I nostri miti – dalla moda alle auto di lusso, dai brand consumer ai leader tecnologici – non esercitano più lo stesso fascino sul resto del mondo. La crescente consapevolezza globale sta spostando il valore dai simboli vuoti ai contenuti reali. Le nuove economie emergenti non sono interessate a copiare i nostri modelli; stanno creando una cultura propria, radicata nei loro valori e nelle loro aspirazioni.
E noi? Continuiamo a inseguire chimere, estremizzando fenomeni elitari, politicizzando tutto come fosse una partita di calcio, e credendo che i nostri vecchi paradigmi possano ancora guidare il mondo
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Il fallimento educativo
Una delle domande fondamentali da porci è: cosa stiamo insegnando nelle nostre scuole e università? Le nostre istituzioni educative sono ancora ancorate a una visione del mondo che non esiste più, riproponendo modelli vecchi e ormai inutili. Stiamo preparando le nuove generazioni per un futuro che non arriverà mai, ignorando che il resto del mondo si sta muovendo su paradigmi completamente diversi.
In questi giorni, una pubblicità della Jaguar ha fatto discutere: un marchio storico dell’Occidente che cerca di scuotere il mercato. Ma chi si interessa davvero? Sempre e solo l’Occidente, quella minoranza di 1,6 miliardi contro un mondo di 8 miliardi che si muove in direzioni diverse.
Il sud del mondo guida il cambiamento
Il resto dell’umanità – i cosiddetti “invisibili” che l’Occidente ha ignorato per decenni – si sta facendo vedere. E lo sta facendo con modelli di crescita che non hanno nulla a che vedere con i nostri. Il sud del mondo sta abbandonando i miti occidentali, liberandosi da religioni imposte, tifoserie ideologiche e suprematismi culturali. Sta creando sistemi propri, basati su contenuti e valori che rispondono ai bisogni reali delle persone, piuttosto che alimentare vecchie narrazioni.
Guardare, capire, imparare
È ora di svegliarsi. Invece di chiuderci nei nostri nazionalismi e corporativismi, dobbiamo iniziare a guardare il mondo per quello che è: un ecosistema di diversità in cui non siamo più al centro. Dobbiamo viaggiare, vedere, parlare con gli “altri” e capire dove stanno andando.
L’Occidente può ancora avere un ruolo, ma solo se abbandonerà il suo suprematismo e accetterà di non essere il riferimento universale. Non possiamo imporre i nostri paradigmi; possiamo solo ascoltare, imparare e adattarci. Perché il futuro del mondo non sarà guidato dall’Occidente, ma da quelle stesse nazioni che abbiamo sempre considerato inferiori.
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E il primo passo per non restare indietro è riconoscere che il nostro tempo al centro del mondo è finito.