Quando l’auto elettrica arriva più velocemente della politica… e nessuno ha visto il semaforo rosso!
L’Occidente si trova oggi a un bivio, di fronte a un cambiamento che potrebbe sfuggire alla sua comprensione. I governi occidentali, pur cercando di dirigere l’economia, non riescono più a controllarla: essa procede per conto proprio, ignorando ogni tipo di imposizione o diktat. In un contesto globale sempre più interconnesso, i paesi non possono più permettersi di pensare di sopravvivere in un sistema autarchico.
All’opposto, l’economia cinese è governata da piani a lungo termine stabili e ben sostenuti, accolta con favore da un settore economico che sa adattarsi. Questa contrapposizione tra i due modelli economici è come un pugno nell’occhio per i politici occidentali.
Da quarant’anni, le case automobilistiche occidentali operano in Cina, godendo di profitti stellari. Peccato che i grandi manager, che vivono e lavorano in torri di vetro al 40º piano, non abbiano visto il treno passare sopra di loro. Non uno, ma diversi treni, uno dietro l’altro.
Il peggio arriva dai politici europei e americani: non hanno colto il massiccio arrivo di veicoli elettrici (EV) dalla Cina. Consolati, camere di commercio, think tank: tutti ciechi.
Solo negli ultimi due anni l’Occidente si è svegliato alla minaccia cinese nell’automotive e oltre… e ora hanno inventato il problema della “sovrapproduzione” per crearsi un nemico immaginario.
E come principianti spaventati, reagiscono con ritorsioni disordinate, una strategia che non porta a nulla.
La difesa passiva dell’Occidente è un’assicurazione sulla sconfitta, sancita dai numeri e da una realtà che si rifiutano di accettare.
Le auto elettriche cinesi, con una complessità ridotta, sono industrialmente meno costose, realizzate su paradigmi di produzione differenti. Ma i grandi manager, dal 40º piano, continuano a snobbarle.
L’Unione Europea, tra i suoi think tank altisonanti, è rimasta inerte. Non un solo segnale di reazione concreta, nessun supporto significativo alle proprie case automobilistiche né incentivi per la ricerca tecnologica nelle EV.
I politici europei, specialmente quelli stanziati a Bruxelles, sembrano più interessati a non perdere consensi che a salvaguardare il futuro economico dell’Europa.
È ormai troppo tardi per fermare l’avanzata cinese, che si muove verso di noi come una valanga.
Eppure, da decenni l’Occidente cerca di “democratizzare” la Cina, senza rendersi conto che la Cina, di fronte a queste pretese, pensa soltanto: “Non siamo uguali e non ci interessa esserlo”.
L’Occidente continua a demonizzare il sistema cinese, dipingendolo come una dittatura. Ma nelle strade cinesi, il malcontento è solo un granello di sabbia nel mare: praticamente inesistente.
È chiaro che le differenze culturali e di governance tra Occidente e Cina sono profonde e destinate ad allontanarsi sempre di più, allargando la spaccatura tra chi è destinato a rallentare e chi, come la Cina, non intende fermarsi.
La vera sfida ora è che l’Occidente comprenda meglio il percorso che la Cina sta tracciando. Siamo di fronte a un gigante che non si ferma e, come in guerra, quando ci si trova a fronteggiare un nemico molto più grande di sé, l’alleanza potrebbe essere la via per evitare una sconfitta certa. Non c’è più spazio per sistemi autarchici, e solo un cambiamento di strategia, che favorisca collaborazione piuttosto che conflitto, potrà garantire un futuro prospero per tutti.